I Conti di Pagliara presero il nome dal castello che si erge sul picco del colle omonimo, a 1010 metri, in tenimento di Isola del Gran Sasso, al confine col comune di Castelli. È un contrafforte della maestosa catena del Gran Sasso, che da Sud – Est a Sud – Ovest, fra castelli ed Isola, forma, con i suoi 2000 metri di roccia di color ferrigno, un anfiteatro di imponenza e grandiosità incomparabili. I ruderi che sfidano ancora la furia degli elementi – due torrioni esagonali, il muro di cinta con una chiesuola in mezzo e buche che nascondono sotterranei paurosi – risospingono la mente a quell’epoca di ferro e fanno pensare che il castello, elevatosi impetuoso sulle rupi strapiombanti che segnano il confine fra la valle del Ruzzo e quella del Leomogna, dovesse essere inespugnabile.Qui ebbero dimora i Conti di Pagliara, discendenti dagli illustri Conti dei Marsi.

Il nome originario del colle e del castello era quello di Palearea, Palearia o Pallara (Pagliara). Fu poi cambiato in quello di Palla Aurea ( Palla d’ oro). Ma se alla illustre prosapia dei conti ben si addiceva il nome impreziosito, i vassalli e i successori dei vassalli inflessibili e severi, hanno mantenuto il nome di Pagliara. I conti di Pagliara ebbero pure il titolo di Colle Petrano 0 Colle Petrino, ed io credo che tal nome sia loro provenuto, non dal feudo di Collepietro in Provincia d’Aquila, ma dalla contrada che è alle falde di Pagliara: Petrana, dove sorse il villaggio che oggi chiamasi Pretara. Così il colle di Pagliara si chiamò pure Collepetrano o Collepetrino.

I conti di Pagliara che si dissero pure di Ocre, come padroni di altro feudo in provincia d’Aquila, non ebbero da principio il dominio su tutta la Valle Siciliana, il feudo che quasi dalle origini del Vomano alla confluenza col Mavone, si estende a destra verso i monti fino al confine di Arsita, abbracciando nella nostra Diocesi di Penne tutto il territorio compreso nel mandamento di Tossicia, prima che fosse ridotto, e cioè i Comuni di Castelli, Isola del Gran Sasso, Colledara, Tossicia, Pietracamela e Fano Adriano, ie frazioni di Leognano, Faiano, Colledonico e Cusciano, appartenenti al comune di Montorio al Vomano e la frazione di Nerito, capoluogo del comune di Crognaleto.

Questa grande zona prese il nome di “Valle Siciliana”, perché i primissimi abitatori di essa, come di altre parti della nostra Italia, furono i Siculi. Di questi solo, come tali, fa menzione Omero.

Vennero dall’ Illiria e approdarono nelle nostre spiagge attraverso il Gargano o monte Arione che con le nostre isole di Pianosa e delle Tremiti e con quelle dalmate di Lesina, Tercola, Curzola, Lagusta, Cazza, e Pelagosa formano quasi un ponte fra le due marine. Lo apprendiamo da Ecateo che visse nel VI secolo a. C. Plinio il Vecchio, nel capitolo 14 della sua “Naturalis Historia” afferma con indiscutibile autorità che i siculi e liburni abitarono moltissimi luoghi delle nostre contrade e principalmente la Agro palmense, il traduzione All adriano. Sappiamo che la nostra Valle siciliana faceva parte del Lago adriano. Tutti i territori da SP tati si chiamavano sicilia, è il nome di Valle siciliana Re sto a specificare la zona sopra descritta.

erano popoli primitivi e quasi barbari. E, ma dimostrare qualche grado di incivilimento sta il fatto che essi attraversano il mare, è per un culto religioso, si riunivano in tribù sotto il comando di particolare i capi, se però crearsi delle sedi che furono nuclei future città. Adrano, i fratelli palici, figli di adrano, Diomede di tracia, re dei Bistagni, possessori di feroci cavalli antropofagi, contro cui lato ercole, erano le loro divinità. E, ed in generale tutti i nomi del mito il lirico greco.

L’occupazione dei siculi segnò chiari e netti confini dell’agro Atriano: dalla foce del Matrino (Vomano) a quella dell’Aterno verso oriente, risalendo verso i monti e seguendo la sponda sinistra del Salino.

I Liburni che erano popoli navigatori presero stanza presso il mare, mentre i Siculi preferirono gli altipiani, verso la sponda destra del Vomano nella zona percorsa dal suo maggiore affluente che è il Mavone, abbracciando in tal modo un triangolo che finiva a Fano Adriano dove il Vomano nascente cominciava ingrossare. Viene fatto però di domandarsi: se il Pontano e il Camarra sostennero con Plinio che i Siculi furono i primissimi abitatori, non solo della Valle siciliana, ma di gran parte dell’abruzzo, come va che il loro nome è quasi esclusivamente legato alla nostra valle? Rispondiamo che anche Goriano Sicoli presso Corfinio porta le tracce della stessa dominazione, e condividiamo l’opinione espressa da Melchiorre Delfico nella sua “Interamnia Per” che tale nome sia rimasto, perché in quei siti montani i Siculi poterono più lungamente stabilire il loro dominio. Infatti il Bossi, seguendo Dionigi di Alicarnasso, sostiene che la dominazione dei Siculi nella nostra penisola comincio dal XVI secolo prima dell’era volgare è durò per circa tre secoli. Ad essi si deve, secondo Plinio, la fondazione di Ancona e Numana, mentre il loro dominio si estese in quasi tutta Italia centrale.

Verso l’anno 1284 a.c., un altro popolo, appartenente alla grande famiglia dei Liguri, si impadronì delle regioni alpine, della Valle del Po, e scendendo man mano verso l’Italia Centrale, venne a cozzare con i nostri Siculi lungo le valli del Vomano. Essi furono, come afferma Plinio, gli Umbri che occuparono pure le coste Adriatiche, spingendosi fino al Gargano.

I Siculi furono fugati, ma non distrutti. Essi attraversarono la catena del Gran Sasso e girando attorno alle sorgenti dell’Aterno, raggiunsero il lago di Fucino, donde scesero a Tivoli e nel Lazio, di cui furono i primi abitatori. Incalzati sempre dagli Umbri, emigrarono nella Trinacria alla quale dietro il loro nome.

Del passaggio degli Umbri rimangono da noi tracce in alcune denominazioni: Umano, Gumano, Vumano, Vomano fu il nome del nostro fiume, come un Umbrata, Ubrata, Vibrata si chiamò dagli umbri il fiume vicino.

Anche umbro è il nome Mavone, come derivazione da Mavors, nome umbro di Marte. Sulla sponda sinistra dell’Alto Vomano abbiamo il villaggio di Poggio Umbricchio.

“Come i Siculi, afferma Luigi Sorricchio, provenienti dal mare battezzano dal loro nume indigete Hatria e da questo il fiume che ne bagna il piede del Colle chiamandolo Matrinus, così gli Imbri, dimorati a lungo sui monti dove il fiume nasce, lo chiamarono nel loro linguaggio, Vomano. Onde il nostro classico fiume ebbe due nomi. Si disse Vomano dalle sorgenti fin dove, allargandosi ai piedi del Colle di Hatria e gettandosi in mare, diveniva il porto naturale, l’emporio di Hatria stessa. In quel l’ultimo tratto nomosi Matrino”.

La nostra Valle Siciliana, dopo la denominazione degli Umbri, fu occupata dagli Atriani e appartenne dall’epoca dei Visigoti alla Contea di Penne. Essa fu fiorente di civiltà, specialmente nel medioevo. Molti personaggi, oltre i conti di Pagliara, vi ebbero i natali. Ricorderemo i pontefici Agatone, Leone II e Stefano III, il grande tribuno ed architetto Nicola dell’Isola, il cardinale Silvio Antoniani di Castelli, precettore di San Carlo Borromeo, Bartolomeo Donati, segretario di papa Innocenzo VI, il dottore e poeta Alessandro Procuri, i sommi pittori Grue, Gentile, Cappelletti, Fuina, lo statista e filosofo Melchiorre Delfico, per non citare tanti altri che l’hanno illustrata nelle scienze e nelle arti.

La valle siciliana fu calcata dai piedi verginali di San Francesco d’Assisi e fu detta, come scrive il dottor Quirino Celli, “un’oasi fiorente in mezzo alla barbarie ed all’annientamento dei valori spirituali, caratteristiche del basso medioevo. In essa esistono ancora più palpitanti testimonianze di grandezza: avanzi di antiche fabbriche, di enormi edifici, do imponenti turriti castelli, simbolo di antica magnificenza di principi e baroni, ruderi di monasteri che furono ardente fucina di arti, cenacoli di scienza e palestra di nobili spiriti, custodi gelosi dei prodotti più elevati dell’umano sapere”.

Il paese più importante era ed è Isola del Gran Sasso che in tempi a noi più vicini fu sede del governatorato di tutta la Valle Siciliana. Il governatore vi aveva il proprio palazzo, dove amministrava la giustizia e dove prendevano stanza l’Erario o Esattore, il Bargello e militi.

Riprendendo il filo della storia dei nostri conti di Pagliara, il loro dominio si estese su tutta la Valle e fuori di essa, anche sulla contea d’Apruzio e sul territorio di Ocre, di Fossa, di Albe, di Celano, di San Severino, di Palena, di Valva, di Carapelle, di Manoppello e di Guardiagrele, man mano che essi seppero far valere la loro fedeltà e le loro benemerenze verso il trono e strinsero vincoli di parentela con nobili casati, quali gli Orsini e Di Sangro.

Ma quando fu costruito il castello?

A questa domanda non possiamo rispondere con dati precisi, ci conviene procedere per induzioni.