La pecora alla callara (detta anche ‘ajiu cutturo’, alla cottora) è uno dei piatti più caratteristici delle zone interne d’Abruzzo, legate per millenni alla pratica della pastorizia transumante. La sua preparazione e cottura richiedono molte ore.

La carne di pecora va innanzitutto lasciata frollare per tre giorni, quindi si provvede a tagliarla a tocchetti e a cuocerla lentamente in un caldaio con molta acqua per almeno tre ore, avendo l’accortezza di non lasciare asciugare troppo la carne aggiungendo di tanto in tanto dell’acqua. Una volta ben bollita e sgrassata, al fine di far perdere il tipico ma forte sentore di ovino adulto, la carne viene scolata e messa nuovamente a cuocere in un grande recipiente per altre tre ore con sale, olio, aglio, peperoncino e altre spezie.

Quando il tutto sarà ben ristretto, si serve calda. Le pecore sono state per secoli la ricchezza delle popolazioni aquilane e degli altopiani abruzzesi. ScipioneMazzella, nella sua opera dal titolo Descrizione del Regno di Napoli del 1597, scrive che verso la metà del ‘500 esistevano in Abruzzo circa 4 milioni e mezzo di capi ovini. Anticamente, la strada che univa L’Aquila a Firenze, veniva chiamata “la Via della lana e dell’oro” proprio per l’ingente scambio di ricchezze che avveniva tra la Toscana e l’Abruzzo.

La ricetta della pecora “alla callara” affonda le sue radici nella tradizione pastorale, e nasce probabilmente dall’uso di assegnare agli addetti alla custodia degli armenti quegli ovini adulti che per qualche motivo non potevano essere più oggetto di utilizzo o di vendita: i capi azzoppati, i più malandati, le pecore “sterpe”, cioè sterili. La preparazione avveniva all’aperto, come ancora oggi in alcune rievocazioni e feste celebrative della transumanza. Un piatto forte, arcaicamente mediterraneo, capace però di ricondurre con vigore indimenticabile alle origini della cultura regionale abruzzese.