Col piombo dell’antica nave caccia ai neutrini nel Gran Sasso

 

Centoventi lingotti di purissimo metallo rimasti per duemila anni sui fondali della Sardegna saranno utilizzati per “schermare” i delicati strumenti dei fisici che lavorano al progetto “Cuore”. La loro caratteristica: a differenza di quelli di oggi non sono radioattivi

Mai gli antichi romani avrebbero immaginato di essere arruolati nella caccia ai neutrini. Per queste particelle sfuggenti che i fisici si sforzano di afferrare da decenni, non basta la tecnologia. Serve anche la storia. Ecco perché 120 lingotti di piombo purissimo recuperati da una nave romana affondata in Sardegna duemila anni fa sono appena stati scaricati nel ventre del Gran Sasso. Qui, nel Laboratorio dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), 1.400 metri al di sotto della cima, daranno il loro contributo alla caccia dei neutrini schermando i sensori dalle contaminazioni esterne. 

“Il piombo moderno ha il problema di essere radioattivo” spiega Ettore Fiorini, responsabile dell’esperimento “Cuore” per la ricerca dei neutrini al Gran Sasso, fisico dell’Infn e appassionato cacciatore di antichi galeoni affondati. “I lingotti antichi hanno invece perso quasi tutta la loro quantità di piombo 210, che è la componente radioattiva e che si dimezza in un periodo di 22 anni. Il fatto che fossero conservati sotto al mare li ha ulteriormente protetti, schermandoli anche dai raggi cosmici”.

Immersi nella montagna e avvolti da una copertura di piombo antico, i delicatissimi sensori del Laboratorio del Gran Sasso potranno così concentrarsi nella cattura degli elusivi neutrini, senza essere disturbati da radiazioni estranee provenienti dall’ambiente o dal piombo. “Anche dopo i bombardamenti della guerra  –  spiega ancora Fiorini  –  alcune cattedrali tedesche furono ricostruite usando piombo moderno. Quello originale fu chiesto dai ricercatori proprio per ottenere materiale poco radioattivo”.

Quel che i fisici considerano un tesoro, per gli archeologi aveva un valore relativo. Il recupero dei quasi 2mila lingotti affondati con la “navis oneraria magna” tra l’80 e il ’50 avanti Cristo a un miglio dall’isola di Mal di Ventre è avvenuto solo grazie alle richieste e al finanziamento dell’Infn. “Con le nostre analisi  –  prosegue Fiorini  –  siamo stati anche in grado di capire l’origine storica di quel piombo. Non la Sardegna, come si pensava all’inizio, ma le miniere della Spagna”. Il metallo, fuso e modellato, veniva usato dagli antichi romani in edilizia o per gli ornamenti. 

La nave fu avvistata vent’anni fa da un sommozzatore dilettante a una trentina di metri di profondità. Poco dopo, i primi 170 lingotti delle dimensioni di 46 centimetri per 9 e del peso di 33 chili (il massimo trasportabile per legge da uno schiavo) sono stati scaricati al Gran Sasso. Ieri mattina il secondo carico di altri 120 lingotti è arrivato nei Laboratori dell’Infn per proteggere gli strumenti di Cuore. Rimosse le iscrizioni che potranno essere utili agli archeologi, ora i pani di piombo saranno fusi e usati dai fisici. “La collaborazione con gli archeologi e con l’università di Cagliari è stata splendida” sottolinea Fiorni.

L’esperimento “Cuore” punta a scoprire un processo fisico molto raro, chiamato “doppio decadimento beta senza neutrini”, utile a capire la natura della materia a livello dell’infinitamente piccolo ma anche alcuni aspetti dell’evoluzione dell’universo. “Quel piombo  –  dice Lucia Votano direttrice del Laboratorio del Gran Sasso – sarà essenziale per proteggere l’esperimento dalla radioattività naturale che potrebbe oscurare il raro processo del doppio decadimento beta senza neutrini”. “Certo il comandante di quella nave non avrebbe mai immaginato che il suo piombo sarebbe stato utilizzato duemila anni dopo per qualcosa che ha che fare con l’universo e le stelle” ha aggiunto il presidente dell’Infn Roberto Petronzio.

Fonte: Repubblica.it